martedì 11 giugno 2013

UNO SGUARDO ALLA SIRIA




Nel corso del 2011, in Siria, sono scoppiate le prime sommosse popolari che hanno portato ad una guerra civile senza un'apparente via di uscita. Il partito Ba'th che è al governo dal 1963 con a capo il Presidente Bassar Al-Asad ha cominciato a traballare con la nascita della cosidetta primavera araba che dalla Tunisia si è espansa in quasi tutto il magreb e oltre.
La causa principale è stata il desiderio dei cittadini di volere più giustizia e libertà e iniziarono prima protestando contro la legge speciale di emergenza del 1963 (divieto di manifestazione di dissenso) poi in generale contro il regime. La protesta che segna la “vera” rivolta, sia a livello nazionale che mediatico, è quella del 15 marzo 2011 quando i manifestanti in diverse città scendono contemporaneamente in piazza e nelle strade a gridare il proprio dissenso verso il governo e pochi mesi dopo un gruppo di ex ufficiali annuncia la formazione dell'Esercito Siriano Libero (FSA).
E' l'inizio dei morti, del sangue, del silenzio internazionale, delle migliaia di profughi e dell'arrivo di gruppi islamici estremisti. Il 25 maggio 2012 si compierà il massacro di Houla, che scuoterà per pochi giorni l'indignazione mondiale, dove sono uccise 108 persone, di cui 34 donne e 48 bambini. I responsabili sono i membri della Shabiha, gruppo paramilitare al servizio di Al Asad ma c'è chi accusa della carneficina l'FSA.
Altra notizia che scatena ripercussioni a livello globale è la diffusione della presunta decisione da parte del regime di Asad di usare armi chimiche contro la popolazione ma di attendibile, come al solito, c'è ben poco.
Confusione, poche fonti certe e ancora morti.
A questo punto la corrente alawita (il 25% della popolazione), in precedenza protetta da Al-Asad (anch'egli alawita), vengono presi di mira e lo scontro si sposta anche nella sfera etnico-religiosa, portando molte di queste persone a convertirsi all'islam sunnita.
Diventa chiaro però che il governo non potrebbe sopravvivere senza l'appoggio diplomatico della Russia, i trasferimenti iraniani di armi e l'aiuto militare dell'organizzazione libanese Hezbollah e lo stesso vale per gli insorti che al loro fianco trovano Turchia, Arabia Saudita e Qatar, i quali forniscono loro denaro, uomini e armi.
Nel frattempo l'immobilismo occidentale diventa snervante e nessuno sa come muoversi: L'UE non estende l'embargo delle armi e non tiene una posizione chiara, le trattative tra USA e Russia sono effimere e L'ONU decide di ritirare tutto il personale non “essenziale”.
Alcune domande sorgono spontanee:
Come mai dopo più di due anni di guerra civile la Nato, l'Eurocorps, i caschi blu e quant'altro non si sono mobilitati per ripristinare la pace?
Forse non vi è lo stesso interesse come in Iraq, Afghanistan o Libia?
Per caso la tanto declamata “esportazione della democrazia” non contempla i territori siriani?
Oppure non si aspettavano un resistenza così lunga da parte di Asad?
Quale che sia il motivo, vogliamo credere nella spontaneità della rivolta, anche se ora vi sono confluiti guerriglieri, jihadisti e mercenenari di ogni nazionalità e in particolare sosteniamo a gran voce l'autodeterminazione dei popoli. Purtroppo questo principio non si è attuato in molti paesi e anche questa volta, se riusciranno ad abbattere il regime, l'ingerenza esterna, siamo sicuri, non si farà attendere. 

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