giovedì 6 giugno 2013

KEYNES: RITORNO ALLE ORIGINI




La portata della crisi finanziaria scoppiata nel 2008 ed originatasi negli Stati Uniti con lo sgonfiamento della bolla immobiliare e contemporaneamente all'insolvenza di molti possessori dei mutui subprime, ha sortito ripercussioni decisamente negative per le teorie economiche dominanti.

Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una rinascita del metodo "Keynesiano" grazie ad economisti come Paul Krugman e Joseph Stiglitz, i quali stanno attaccando duramente la ormai vecchia economia del "laissez faire" di cui i padri fondatori della scuola di Vienna (che invece si focalizzavano esclusivamente sull'azione individuale) ed in seguito della scuola di Chicago sono stati i principali sostenitori. E' chiaro quindi che il disastro economico attuale può esser fatto risalire alle misure neoliberali applicate inizialmente ai paesi industrializzati e poi, per effetto della globalizzazione, in quasi tutto il resto del mondo.
L'economia keynesiana è una scuola di pensiero economica basata sulle idee di J.M.Keynes (1883-1946), il quale indirizzava l'attenzione sulla variabile della domanda aggregata e sui suoi componenti, ritenendo che la disoccupazione scaturisse proprio dalla depressione di questa domanda.
Formulò così alcuni punti che uno stato avrebbe dovuto adottare se si fosse trovato ad affrontare questo tipo di problema:
stimolare i consumi attraverso il taglio delle imposte dirette, in modo da consentire ai cittadini di conservare più soldi da spendere;
favorire gli investimenti delle imprese applicando bassi tassi di interessi  così da rendere più abbordabile il costo del denaro;
edificare nuove infrastrutture e potenziare quelle esistenti allargando i cordoni della spesa pubblica, coinvolgendo direttamente i cittadini nella costruzione di strade, ponti, ferrovie, ospedali, ecc.;
colmare la carenza della domanda interna orientando la produzione verso le esportazioni, da promuovere mediante la svalutazione della moneta locale.
Di contro, keynes, era convinto che l'inflazione fosse dovuta ad un aumento eccessivo ed incontrollato della domanda aggregata e a quel punto lo stato avrebbe dovuto applicare misure completamente opposte, creando così un vero e proprio "paradosso" se i fenomeni di disoccupazione e inflazione si fossero manifestati contemporaneamente.
Naturalmente il "paradosso" Keynesiano finì per verificarsi con lo shock petrolifero del 1973 e le sue politiche per arginare il problema si rivelarono decisamente fallimentari.
Così sulle ceneri delle ricette keynesiane nacque il neoliberismo che spostava l'attenzione dalla domanda all'offerta, limitava i poteri dello stato e favoriva in maniera spasmodica la concorrenza tra le imprese, costringendole a ridurre i costi fissi (taglio salari, riduzione personale ecc.) per rimanere competitive sul mercato.
Il mercato divenne così (ed è tutt'ora) la guida suprema, tutto doveva muoversi in funzione della "razionalizzazione produttiva" e l'uomo insieme all'economia reale vennero ostracizzati se non, a volte, fortemente criticati.
Ma ecco lo scoppio della crisi del 2008 e come per magia le teorie di Keynes vengono riscoperte e riattualizzate soprattutto nei confronti del vecchio continente, dove si fanno sentire i fenomeni di deflazione e disoccupazione generalizzata. A questo punto, numerosi economisti (ma già prima della crisi) iniziano a stigmatizzare l'Unione Europea e l'oscura BCE, perché impediscono per statuto ai singoli Paesi sia di stabilire i tassi di interesse da applicare sia (soprattutto) di svalutare la moneta per favorire le esportazioni, sfociando in un aumento smisurato del debito pubblico e del deficit.
Purtroppo, come in altri articoli abbiamo sottolineato, i paesi che subiscono maggiormente queste politiche aggressive sono quelli dell'area del Mediterraneo dove in alcuni casi la disoccupazione supera il 20% e di conseguenza necessiterebbero di politiche espansive, in cui la spesa in disavanzo dovrebbe essere associata a una riduzione delle tasse, a una diminuzione dei tassi di interesse e a una svalutazione competitiva, ma l’Unione Europea proibisce l’applicazione di questo genere di misure. Assistiamo, da parte della BCE, a cessioni di denaro a basso costo e diminuizioni dei tassi d'interesse alle banche che invece di riversarli verso le imprese e le famiglie, acquistano Buoni del Tesoro dei paesi del Mediterraneo, scommettendo sul loro declino per guadagnarci sopra. Ed infine accettiamo inermi alle condizioni irremovibili della Germania, dettate da personaggi come la Merkel e il ministro delle finanze Schaeuble, per consentirle di rimanere la potenza trainante dell'intera zona euro.
Tutto questo è inaccettabile.
E se per risollevare l'economia, riportare occupazione e dare nuova linfa all'impresa c'è bisogno di fare un passo indietro e ritornare a vecchie politiche che sembravano ormai morte e sepolte (ed ovviamente così non è), non dobbiamo farci prendere da inutili allarmismi o paure simili ma solo da risolutezza nel capire il cambiamento in corso e decisione nell'attuare "nuove" politiche economiche.

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